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  • Pagine: 128
  • Prezzo: € 13,00
  • ISBN: 9788883063022
  • Data Uscita: 27/05/2021

Odisseas Elitis: Trasparente come la luce
Franco Loi
Derek Walcott
Poesia giapponese antica
Thomas McCarthy
Ellen Bass

Sommario

Odisseas Elitis, Trasparente come la luce - a cura di Filippomaria Pontani
Franco Loi, L’infinita adolescenza e il gioco del pallone - a cura di Milo De Angelis
Franco Loi, L’Angelo oltre la Storia - di Daniele Piccini
Derek Walcott, Migranti - a cura di Luigi Sampietro
Silvio Ramat 1900-1914. La giovinezza della poesia in Italia: Camillo Sbarbaro (1888-1967)
Dai canti degli dèi allo splendore della poesia di corte - di Angela Urbano
Milo De Angelis, I poeti di trent’anni: Lorenzo Babini, La camera di Arnaut e altre poesie
Thomas McCarthy, Demoni e angeli - a cura di Alessandro Gentili
Thierry Metz, Dove la parola nidifica - a cura di Pasquale Di Palmo
Ellen Bass, Nove poesie - a cura di Massimo Migliorati e Michela Martini

Estratto

Franco Loi, L’Angelo oltre la Storia

L’ultima volta che ho visto Franco Loi (1930- 2021) è stato a Milano, al caffè Cucchi, nel 2018, in occasione dell’uscita della nuova edizione di Amur del temp (Crocetti). Parlando da amici gli chiedemmo di un celebre brano de L’Angel (il poema in progress, uscito in quattro parti da Mondadori nel 1994 e poi variamente continuato a brani e a frammenti): parlo del capitolo VI della parte prima (uscita a suo tempo da San Marco dei Giustiniani nel 1981), quello che racconta del gruppo di ragazzi che in via Martini assiste a uno spogliarello più sognato che reale… La poesia di Loi è tutta racchiusa, con le sue peculiarità e il suo singolarissimo impasto, in quel brano: espressionismo e grazia meravigliata, carnalità e memoria di un tempo che non c’è più e che confina, quindi, con il non-tempo, con l’utopia oltre la storia. Infatti Loi, nel suo dialetto pregno di umori, ibrido e reinventato (da non milanese di origine qual era), appreso quasi come lingua della libertà e del fiorire, cerca di dire l’integrità del desiderio umano.

Quando Loi parla (nei poemi – come Stròlegh, 1975, e L’Angel – e nelle liriche), anima la presenza del mondo e insieme la attraversa e la annulla, quasi per vedere oltre, per scoprire il profilo lunare che sta dietro le cose.

L’aria, non a caso, è il motivo più ricorrente delle sue poesie: cioè una sorta di non-essere che custodisce il segreto dell’essere. Qualcosa di tremolante e invisibile, che però c’è e tiene in sospensione il gioco, lo spettacolo del mondo. Il poeta di Milano si reimmerge continuamente nell’acqua zampillante del parlare di tutti: il poeta ha un senso se parla per la comunità, per quelli che tremano come lui nel vento della storia e della vita. Non c’è separazione o solipsismo, ma piuttosto inclusione e integrazione dell’uomo comune e del popolo nel poeta: certo, Loi ha parlato specificamente anche del proletariato, della “class uperara”, ma come facendone un emblema dell’umanità tesa a una liberazione, a un oltre, a un ritorno. Come pochissimi altri, oltre che alla malinconia e al dolorare della memoria, Loi ha dato voce anche all’allegria: c’è talvolta nei suoi testi e nei suoi brani poematici un movimento indiavolato, che rimanda alla musica, al ritmo, all’esplosione dell’energia vitale.

Si pensi a quel brano de L’Angel, parte prima, IX, già evocato: “ma nüm, che l’èm patida propi tüta,/ anca la libertâ se sèm gudü!” (“ma noi, che l’abbiamo patita proprio tutta,/ anche la libertà ci siamo goduti!”). Insomma Loi è stato il cantore di una condizione dell’uomo dimidiata e minacciata, sì, sempre a rischio di caduta, eppure tesa a un’integrità in qualche modo presente al cuore (proprio a questo allude il protagonista de L’Angel, che crede di ricordare un’altra vita). Ecco perché nei libri di Loi, a partire da quelli degli anni Ottanta, come Bach (1986) e come Liber (1988) e fino agli ultimi, si parla di Dio.

C’è insomma un sottofondo metafisico che però si pianta nella carne dell’uomo e lo fa smaniare, chiamare e invocare. Tutti i lettori sanno quanta parte di questa poesia sia infatti nutrita di un andamento esclamativo, all’insegna di un lodare e di un meravigliarsi che non si arresta alle cose, ma tende quasi ad annichilirle in un turbine di rivelazione e di epifania (il tema del niente, il tema del sogno, così presenti nel suo discorso). L’umanità di Loi si risente continuamente, soffre e si duole nella propria condizione di attesa e di memoria: dimensioni che si confondono in lui nella tensione a una purezza precedente alla storia, che si fa sempre inseguire nella violenza e nella crudezza della storia stessa. C’è un qualcosa che resiste al fondo di ogni disillusione e mancanza, qualcosa che nella lingua annuncia come realizzata (o possibile) la comunione con gli esseri e con quel Dio che muove il loro respiro, li chiama, li attira terribilmente a sé, per quanto essi se ne allontanino. In fondo Loi è stato il poeta di una conoscenza che si realizza nell’amore: un conoscere non di testa, filosofico, cartesiano, ma di cuore, di adesione, di partecipazione.

Daniele Piccini

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