- Pagine: 128
- Prezzo: € 13,00
- ISBN: 9788883063053
- Data Uscita: 25/11/2021
Andrea Zanzotto
Carlo Michelstaedter
Li Bai
Hilda Doolittle
Adrian Henri
Sommario
Durs Grünbein, Le “poesie berlinesi” - cura di Paola Quadrelli
Andrea Zanzotto, Oltre l’infinito - di Andrea Cortellessa
Silvio Ramat 1900-1914. La giovinezza della poesia in Italia: Carlo Michelstaedter (1887-1910)
Li Bai, L’immortale esiliato - di Angela Urbano
Milo De Angelis I poeti di trent’anni - Matthias Ferrino, Itaca sommersa
H.D. Imagista - cura di Giorgia Sensi
Virgilio Piñera, Il poeta segreto - di Antiniska Pozzi
Adrian Henri, La poesia di Liverpool - cura di Bernardino Nera
Estratto
Durs Grünbein, Le “poesie berlinesi”, a cura di Paola Quadrelli
“Frammenti d’immagine affollano il cervello degli artisti,” esclamava il giovane Durs Grü̈nbein (Dresda 1962) in una poesia del marzo 1989, annunciando così una poetica eminentemente visiva e impressionistica, attenta ai processi percettivi e in cui l’Io lirico, ridotto a istanza anonima e avulso da ogni sovrastruttura ideologica, si appropria di una realtà esteriore eterogenea, polifonica e disancorata da ogni gerarchia di senso. Un Io atomizzato, postideologico e postistorico, dunque, per il quale lo scenario ideale è la grande città, che del resto, sin dai tempi di Baudelaire, autore ammiratissimo da Grünbein, è la patria elettiva del poeta nomade e flâneur. L’attenzione allo spazio urbano, alla brechtiana “giungla delle città”, predominava già nel primo volume di poesie, Grauzone morgens (1988), che ritraeva l’ambiente urbano di Dresda all’inizio della giornata lavorativa, mentre la seconda raccolta, Schädelbasislektion (1991), conteneva una sezione intitolata Niemands Land Stimmen (Terra di nessuno Voci), in cui il poeta catturava con istantanee fulminee impressioni visive e uditive affioranti da una realtà metropolitana magmatica, disorientante, talora grottescamente macabra. Residente a Berlino Est dal 1985, Grünbein ha vissuto direttamente la caduta del muro e la tumultuosa metamorfosi – topografica, architettonica, economica, sociale – che la città ha attraversato dopo quell’evento storico.
Transit Berlin si intitolava, eloquentemente, un saggio del 1993, in cui Grünbein sottolineava la natura dinamica della città e alludeva allo status quo della città divisa come all’assurda coesistenza di “due epoche, due modelli, due modi di esistere che erano differenti tra loro così come potevano essere all’epoca delle scoperte geografiche il modo di vivere degli indigeni da quello dei missionari”. La Berlino del dopo-muro, con le sue lacerazioni, i suoi contrasti, l’eterogeneità dei suoi paesaggi, si configurava come il rifugio ideale dell’artista postmoderno, nomade e déraciné, e si rivelava come una quinta teatrale, un set cinematografico in cui si ritrovano affastellati in modo disarmonico reperti da epoche storiche varie e distanti: “una Cinecittà prussiano-protestante-socialista di viali da parata, cortili interni, centrali di uffici, ville, musei, reti tranviarie”. A Berlino Grünbein ha dedicato non solo riflessioni saggistiche e annotazioni di diario […] ma anche molte composizioni poetiche, di cui qui si presenta una selezione, tratta da una produzione che spazia dalla seconda metà degli anni Novanta (è il caso del ciclo Berliner Runde) sino a poesie recentissime e inedite. Diverse nello stile e nel tono, le poesie sono accomunate da una lettura della città come palinsesto, come territorio in cui si intersecano e sovrappongono vestigia, residui e memorie di epoche storiche differenti. […]