Philip Levine

Detroit, una fabbrica abbandonata

I cancelli incatenati, la recinzione di filo spinato è lì
come un’autorità di metallo contro la neve
e questo grigio monumento al senso comune
resiste alle stagioni. Ancora carica questa recinzione
delle paure di sciopero, di protesta, di uomini uniti
e della lenta corrosione delle loro menti.

Al di là, attraverso le finestre rotte, si vede
dove le grandi presse si sono fermate fra un colpo e l’altro
e così, sospese nell’aria, restano prese
al margine certo dell’eternità.
Le ruote di ghisa sono ferme; si contano i raggi
che il movimento sfuocava, i montanti che l’inerzia
combatteva,

e si calcola la perdita del potere del potere umano,
lento ed esperto, la perdita di anni,
il graduale declino della dignità.
Uomini vivevano in queste fonderie, ora dopo ora;
nulla di ciò che hanno forgiato è sopravvissuto agli
ingranaggi arrugginiti
che sarebbero potuti servire a macinare il loro elogio.

Traduzione di Claudio Bellinzona

Poesia n. 295 Luglio/Agosto 2014
Philip Levine.Una semplice verità
a cura di Claudio Bellinzona



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