- Pagine: 128
- Prezzo: € 14,00
- ISBN: 9788883064388
- Data Uscita: 05/11/2024
Due “speciali” costituiscono l’ossatura del numero 28 di “Poesia”. Il primo, dedicato a Boris Pasternak, ruota intorno alle liriche incluse dal grande poeta in appendice al “Dottor Živago” e al rapporto tra l’artista e il potere politico, di qualsiasi foggia o natura esso sia. Due servizi sono dedicati invece a Charles Baudelaire, visto, rispettivamente, con gli occhi di un grande poeta contemporaneo (Milo De Angelis) e un grande filosofo (Benjamin Fondane). Grace Schulman e Margiad Evans costituiscono, invece, due autentiche scoperte per il panorama italiano, intese a rinsaldare la costruzione di un ipotetico ‘canone femminile’ della poesia occidentale. Tra gli altri servizi, segnaliamo una silloge di Gian Ruggero Manzoni, singolare artista contemporaneo, e una nuova traduzione dalle poesie di Hugo von Hofmannsthal, a 150 anni dalla nascita. Se ne scoprirà, grazie allo studio di Gio Batta Bucciol, la statura decisiva, che lo colloca tra i titani del secolo scorso.
Charles Baudelaire
Grace Schulman
Margiad Evans
Hugo von Hofmannsthal
Gian Ruggero Manzoni
Sommario
Boris Pasternak Le poesie del Dottor Živago A cura di Davide Brullo
Il poeta inscalfibile. Testimonianze A cura di Donata De Bartolomeo, Armand Robin, Angelo Maria Ripellino
L’importanza del cadavere nella storia della letteratura sovietica A cura di Federico Scardanelli
Charles Baudelaire. I Fiori del male secondo Milo De Angelis A cura di Giulio Solzi Gaboardi
La poesia è disumana. Baudelaire secondo Fondane A cura di Benjamin Fondane e Luca Orlandini
Grace Schulman. La morte e la fanciulla A cura di Massimo Bacigalupo
Margiad Evans. Poesie dall’oscurità A cura di Fabrizia Sabbatini
La giovinezza della poesia in Italia. Enrico Thovez (1869-1925) A cura di Silvio Ramat
Hugo von Hofmannsthal. Uscire dalla preesistenza A cura di Gio Batta Bucciol
Gian Ruggero Manzoni. Usque ad mortem et ultra
Opificio delle voci nuove. Poesie di Luigi Riccio, Mikel Marini e Gennaro Madera A cura di Giulia Martini
Idee – Francesco Targhetta. Il presente in versi: narrare in poesia
Estratto
Marina Cvetaeva non sbaglia mai. Nel 1925 lo definisce così. «Boris Pasternak – è una cosa certa come il Monte Bianco». Nel 1933, scrive su una rivista. “Il fatto che Pasternak sia nato uomo, è un puro equivoco. Pasternak è un albero”. Poiché è un'altra creatura – è montagna, è albero – Boris Pasternak, tra i poeti decisivi di ogni tempo, ha guardato l'uomo con anormale profondità. L'intuizione di Marina Cvetaeva risuona nelle parole di Angelo Maria Ripellino, che nel 1957 ha curato una storica raccolta delle Poesie di Pasternak, costantemente ristampata da Einaudi: “c'è nelle sue pagine un'aria da giorno della creazione”, il poeta è “come uno stralunato che veda ogni cosa per la prima volta” e la sua poesia “ha qualcosa di taumaturgico, di curativo, come le erbe medicinali”.
Dopo un rapporto epistolare durato tredici anni, Marina Cvetaeva e Boris Pasternak si incontrano per la prima volta a Parigi, nel 1935. Lui, obbligato a partecipare a un patetico Congresso per la difesa della cultura (“Stalin aveva fatto letteralmente prelevare Pasternak dalla casa di riposo di Uzkoe dove il poeta cercava sollievo a un grave stato di depressione”: così Serena Vitale), “con il morale a pezzi” e “un'insonnia che durava da quasi un anno”, darà, in pubblico, in una manciata di minuti, la più vasta definizione di cosa sia la poesia (“La poesia rimarrà sempre eguale a se stessa... e bisogna soltanto chinarsi per scorgerla e raccoglierla da terra; essa sarà sempre troppo semplice perché se ne possa discutere nelle assemblee”). Lei, Marina, recensì il “non incontro” con quell'uomo-sonnambulo. L'ultima volta fu in Russia, nel 1940. “Abbiamo camminato sotto la neve e sulla neve – fino all'una di notte – e mi è passato tutto – come un giorno mi passerà – tutta la vita”, scrive Marina, che l'anno dopo si uccide, impiccandosi.
Pare di antivedere i paesaggi, allucinati di bianco, del Dottor Živago, non il più bello, ma il più onnipossente romanzo del secolo – un romanzo-sciamano, un romanzo teurgico. “Tu sei il bene di un passo fatale,/ quando vivere ripugna più di una malattia/ ma la radice della bellezza è l’ardire”. Il bene – la neve – l’ardore.