- Pagine: 128
- Prezzo: € 13,00
- ISBN: 9788883063046
- Data Uscita: 30/09/2021
Marcel Proust
Clemente Rebora
Maria Andrea Rigoni
Alen Bešić
Stefano raimondi
Sommario
Dante Alighieri, Un’intervista immaginaria - a cura di Daniele Piccini
Dante, una vita - a cura di Daniele Piccini
Elogio della frivolezza. Proust e la poesia dei Guermantes - a cura di Roberto Rossi Precerutti
Silvio Ramat 1900-1914. La giovinezza della poesia in Italia: Clemente Rebora (1885-1957)
Milo De Angelis, I poeti di trent’anni: Alessandro Anil, L’acqua della nostra sete
Piero Bigongiari, L’ odissea nel linguaggio - a cura di Daniele Piccini
Xu Zhimo, Gioia di fiocchi di neve - a cura di Giusi Tamburello
Mario Andrea Rigoni, Immanenza
Alen Bešić, Il filo d’oro della poesia - a cura di Marija Bergam Pellicani
Stefano Raimondi, L’ Atalante
I poeti muoiono in coppia - a cura di Livia Apa
Ernest Dowson, Il lascito d’amore - a cura di Francesco Kerbaker
Estratto
Da Alen Bešić, Il filo d’oro della poesia, a cura di Marija Bergam Pellicani
Golo srce (Il cuore nudo, 2012), la terza raccolta poetica di AlenBešić (nato nel 1975 a Bihać, Bosnia ed Erzegovina), che racchiude i testi qui presentati, può essere letta alla stregua del diario di un naufrago. L’autore di questo diario appare allora come un Robinson Crusoe in veste di poeta, affine alla rielaborazione del celebre modello letterario compiuta da Derek Walcott negli anni Sessanta. Sopravvissuto al tragico naufragio di una nazione, forestiero solitario su un’innominata isola dell’Adriatico, il poeta maneggia un idioma che ufficialmente non si parla più da nessuna parte. Più precisamente, Bešić scrive nella variante bosniaca del serbocroato – una lingua il cui nome oggi viene associato al fallito progetto della federazione jugoslava, ma che Bešić rivendica non solo in quanto lingua della sua formazione, ma anche come il vettore di una tradizione letteraria concepita nel suo insieme, nonostante le evidenti differenze. M. Krleža, M. Crnjanski, I. Andrić, M. Selimović, D. Kiš, I. Lalić, M. Dizdar, I. Sarajlić ne sono gli esponenti più accessibili al lettore italiano. Bešić, fecondo traduttore dall’inglese, traduce, invece, nella variante del serbo parlata appunto in Serbia, dove ha finito gli studi e tuttora vive e lavora come editore e curatore della rivista letteraria “Polja”. L’immersione in un contesto linguistico che cambia rapidamente sotto la pressione degli sconvolgimenti politici, l’affermarsi di un tono personale fedele alle esperienze di spostamento e mediazione, la viva cognizione del peso delle parole, della loro corruttibilità e, per converso, della loro promessa di salvezza, fanno da sfondo alla sua ricerca dell’ars poetica, di cui Golo srcerappresenta una testimonianza. In questa raccolta le ingarbugliate problematiche socio-linguistiche e politiche non vengono mai esplicitamente tematizzate, epperò quello che importa sapere sulla posizione del poeta è già tutto nelle sue scelte stilistiche. “La poesia è un’isola che si distacca dalla terraferma,” ha scritto Derek Walcott, la cui opera Bešić ha intimamente conosciuto da traduttore, e queste parole tornano spesso in mente meditando i suoi versi. Volontariamente isolato dai “fermenti nazionali”, come scrive citando MilošKomadina, per quanto inevitabilmente coinvolto nelle riconfigurazioni dei territori e delle micro- e macro-storie che hanno comportato i conflitti jugoslavi, egli sfrutta tutte le vene linguistiche del palinsestico terreno dei Balcani.
Lo stile di Bešić risalta per l’uso di arcaismi ed espressioni ricercate, manifestamente poetiche, tanto da indurre alcuni critici a interrogarsi su un simile recupero dei procedimenti neosimbolisti. Mentre il lessico è costellato di allusioni bibliche e termini relativi alle pratiche ortodosse e islamiche, il senso dell’ancoraggio al luogo e la complessiva impressione della concretezza si devono all’uso dei cosiddetti realia, termini che denotano la cultura dell’ambiente descritto. Si pensi ai turchismi del “purgatorio” come tulumbe (un tipo di dolce orientale) o tavla (il gioco della tavola reale); o ancora, nelle poesie qui non incluse, karakazan (un calderone nero, usato spesso nell’accezione di “baratro”); mezar (tomba, fossa); sevdalinka (genere musicale tipico della Bosnia ed Erzegovina), serdžada (il tappeto da preghiera). Un uso diverso dei regionalismi si può apprezzare nella poesia intitolata l’isola, in cui i vocaboli del dialetto locale, foggiato dalla storica presenza veneziana, mettono in luce la vanità del suo tentativo di impossessarsi del luogo e di abitarlo autenticamente. Sono precisamente questo substrato storico-culturale, sempre avvertibile in serbocroato, e il chiaro distacco dello stile sostenuto dalla lingua parlata, che inevitabilmente vengono meno nella versione italiana. Si aggiunga a ciò il fatto che il serbocroato è una lingua sintetica priva di articoli ed è possibile intuire come le poesie originali appaiano allo stesso tempo più condensate e più terse. La forte espressività del consonantismo serbocroato e la profusione di iperbati, non sempre suscettibili di trasferimento, complicano ulteriormente il compito del traduttore. [...]